Utilità del dosaggio precoce della tireoglobulina ultrasensibile nei tumori differenziati della tiroide.

La tireoglobulina (Tg) è una proteina che viene dosata nel sangue nel monitoraggio dei pazienti affetti da carcinoma tiroideo e già sottoposti ad intervento chirurgico di tiroidectomia e successiva ablazione del residuo tiroideo con terapia radiometabolica con iodio 131.

Recentemente è stato introdotto un dosaggio della tireoglobulina (Tg), cosiddetto ultrasensibile, ossia in grado di misurare in maniera affidabile un valore minimo di 0.15 ng/mL.

Questo dosaggio ha ridotto la necessità di eseguire la sua stimolazione con TSH umano ricombinante (rhTSH) nel follow-up dei pazienti affetti da tumori differenziati della tiroide (TDT).

Nei pazienti a rischio basso o intermedio con ecografia del collo negativa, si può infatti utilizzare, 6-18 mesi dopo l’ablazione del residuo di tessuto tiroideo con radioiodio (RRA), il dosaggio della Tg basale in terapia (onT4-Tg) utilizzando appunto un metodo ultrasensibile.

In un recente studio retrospettivo sono stati valutati 201 pazienti consecutivi classificati a rischio di recidiva basso o intermedio, trattati con tiroidectomia totale e successiva RRA, senza captazione patologica al di fuori del letto tiroideo alla scintigrafia post-dose terapeutica né positività degli anticorpi anti-Tg. La mediana del follow-up era 29 mesi (range 6-130). In base alla risposta al test con rhTSH e all’ecografia del collo (più eventuali metodiche aggiuntive di imaging se necessarie), la risposta precoce al trattamento (dopo 6-12 mesi) classificata come da linee guida ATA è stata: a) eccellente (Tg dopo rhTSH < 1 ng/mL, imaging negativo) in 184 pazienti (91.5%); b) biochimica incompleta (Tg dopo rhTSH > 10 ng/mL, imaging negativo) in 2 pazienti; c) strutturale incompleta (imaging positivo, qualunque valore di Tg dopo rhTSH) in 7 pazienti; d) indeterminata (Tg dopo rhTSH 1-10 ng/mL o imaging indeterminato) in 8 pazienti (4%). Al termine del follow-up, solo 11 pazienti (5.5%) mostravano malattia strutturale (10 linfonodale, 1 polmonare), i rimanenti 190 avevano assenza di persistenza/recidiva di malattia.

Un valore di onT4-Tg < 0.28 ng/mL (sensibilità funzionale calcolata dagli autori, derivata dalla combinazione ottimale di sensibilità e specificità) al primo controllo di follow-up era in grado di predire l’assenza di malattia in tutti i casi al termine del periodo di osservazione (valore predittivo negativo 100%).

Questi risultati confermano i dati già presenti in letteratura e le raccomandazioni delle linee guida ATA: un valore “indosabile” di onT4-Tg misurata con metodica ultrasensibile (generalmente < 0.10-0.20 ng/mL), 6-12 mesi dopo il trattamento iniziale “completo” (tiroidectomia totale + RRA) ha un altissimo valore predittivo negativo e può sostituire il test di stimolazione nei pazienti con TDT a rischio basso-intermedio».

Bibliografia:
Trimboli P, Zilioli V, Imperiali at al. High-sensitive basal serum thyroglobulin 6-12 months after thyroid ablation is strongly associated with early response to therapy and event-free survival in patients with low-to-intermediate risk differentiated thyroid carcinomas. Eur J Endocrinol. 2017 May;176(5):497-504.

Carcinoma della Tiroide

PREVEDERE LA NATURA BENIGNA O MALIGNA DI UN NODULO TIROIDEO IN BASE AL DIFFERENTE TASSO DI CRESCITA

I noduli maligni, soprattutto le varianti a rischio più elevato, crescono con maggiore velocità dei noduli benigni.  Una crescita superiore a 2 mm all’anno è predittiva di malignità rispetto a benignità di malattia: questo parametro clinico può contribuire alla valutazione del rischio di tumore della tiroide.

Non è chiaro se vi sia o meno una differenza fra i tassi di crescita dei noduli benigni e di quelli maligni.  In passato la crescita dei noduli tiroidei era considerata indice di malignità. Comunque, in vari studi si è evidenziata frequentemente crescita anche dei noduli benigni, sollevando dubbi sulla reale utilità clinica di questo parametro.

Alcuni studi osservazionali prospettici hanno proposto che la crescita del di un microcarcinoma papillare della tiroide (PTC) (dimensione del nodulo < 1 cm) sia relativamente rara e lenta. Non esistono osservazioni simili in noduli clinicamente rilevanti (≥1 cm).

Conoscere il tasso di crescita dei noduli maligni rispetto ai noduli benigni può essere utile a determinare il rischio e a stabilire le modalità con cui seguire i pazienti nel tempo. Inoltre, differenti tassi di crescita dei noduli maligni potrebbero essere associati a differenze nel comportamento del tumore. Se tali differenze fossero confermate, queste informazioni influenzerebbero le decisioni cliniche relative all’osservazione, all’aspirazione con ago sottile (FNA) e al possibile intervento chirurgico».

Questo studio è stato condotto su un database di pazienti consecutivi valutati alla Sezione Tiroide del BWH per oltre 20 anni (1995-2014), individuando una coorte di pazienti sottoposti a FNA di uno o più noduli tiroidei sia benigni che maligni non trattati ≥1cm e che avevano ripetuto almeno 2 volte una valutazione ecografica a intervalli di almeno 1 anno (per i benigni) o di 6 mesi, prima della resezione chirurgica (per i maligni).

È stato quindi condotto uno studio di coorte prospettico di pazienti con diagnosi tissutale di malattia benigna o maligna, con valutazioni ecografiche ripetute ogni 6 o più mesi con l’obiettivo di confrontare il tasso di crescita di noduli tiroidei ≥1cm in termini di maggiore dimensione delle lesioni maligne rispetto a quelle benigne.  Hanno soddisfatto i criteri di inclusione (≥ 6 mesi di follow-up non operatorio) 126 noduli maligni che sono stati confrontati con 1.363 noduli benigni. Gli intervalli mediani della valutazione ecografica erano simili (21,8 mesi per i noduli benigni, 20,9 per i maligni).

I noduli maligni hanno evidenziato una maggiore probabilità di crescere > 2 mm all’anno rispetto ai noduli benigni (RR = 2.5, 95% CI [1.6-3.1], p <0.001), un dato confermato anche dopo aggiustamento per fattori clinici. Il rischio relativo che un nodulo fosse maligno è risultato maggiore con tassi di crescita più rapidi. I noduli maligni che crescevano > 2 mm all’anno avevano maggiori probabilità di essere tumori più aggressivi (rischio intermedio: OR = 2.99, 95% CI [1.20, 7.47], p = 0.03; a più alto rischio: OR = 8.69, 95% CI [1.78, 42,34], p = 0,02).

Gli autori concludono che il tasso di crescita può essere un fattore importante da considerare nel caso di noduli tiroidei che non sono stati sottoposti a valutazione citologica o in caso di mancata osservazione di cancro tiroideo.

Durante un periodo di osservazione di un nodulo tiroideo, la riduzione della dimensione del nodulo di 2 mm o più all’anno dovrebbe suggerire un rischio molto basso di malignità e, quindi, può permettere al clinico di continuare a optare per una gestione conservativa.  Al contrario, la rapida crescita del tessuto del nodulo solido dovrebbe portare a un’iniziale FNA diagnostica o alla resezione chirurgica di una malignità dimostrata mediante FNA, data l’associazione con fenotipi a rischio più elevato riscontrata.

Bibliografia:
Angell TE, Vyas CM, Medici M, et al. Differential Growth Rates of Benign vs. Malignant Thyroid Nodules. J Clin Endocrinol Metab. 2017 Dec 1;102(12):4642-4647.

Terapia con metformina della sindrome dell’ovaio policistico

Alla nota relazione tra sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) e resistenza all’insulina contribuiscono molti fattori tra cui sovrappeso, iperandrogenismo e difetti nella trasmissione del segnale cellulare dell’insulina. L’iperinsulinemia in risposta all’insulino-resistenza esacerba ulteriormente le disfunzioni ormonali e ovulatorie associate alla PCOS. La metformina, insulino-sensibilizzante, è stata valutata come opzione terapeutica per ridurre l’insulino-resistenza nelle donne con PCOS. Studi non controllati dimostrano come la metformina abbia effetti benefici su iperinsulinemia, iperandrogenismo, steroidogenesi ovarica, regolarità dei cicli mestruali e tassi di gravidanza. Più recentemente, diversi studi randomizzati prospettici e una meta-analisi hanno confermato gli effetti positivi della metformina sui disordini metabolici, iperinsulinemia, iperandrogenemia, pressione arteriosa e tassi di gravidanza clinica. Per quanto riguarda gli effetti della metformina sul ripristino della normale ciclicità mestruale, i dati di studi non controllati sono promettenti, ma i benefici non sono stati riprodotti in modo coerente in studi controllati. In modo particolare, gli effetti a lungo termine della metformina nelle donne con PCOS sono stati finora studiati in modo inadeguato.

Questo studio prospettico di coorte ha lo scopo di valutare gli effetti della metformina su donne con PCOS per un periodo di 24 mesi in riferimento al ciclo mestruale e ai profili ormonali e metabolici. 119 donne con PCOS, diagnosticate in base ai criteri di Rotterdam ricevevano somministrazione giornaliera di metformina per 24 mesi. L’outcome primario era rappresentato dalla proporzione di pazienti con regolare ciclo mestruale durante il trattamento. Sono stati anche valutati i cambiamenti nei parametri antropometrici, ormonali e metabolici.

Sia le donne in sovrappeso che quelle con peso normale affette da PCOS hanno fatto registrare un aumento della frequenza mestruale e una diminuzione dell’indice di massa corporea (BMI), della testosteronemia e dei livelli dell’ormone luteinizzante nei primi 6 mesi. Un’ulteriore stratificazione ha mostrato come le donne di peso normale che presentavano un elevato livello di testosterone al basale avessero il più elevato grado di miglioramento a 6 mesi (OR: 7,21, IC 95%: 2,35-22,17), mentre le pazienti sovrappeso con normale testosteronemia avevano più probabilità di ottenere normali mestruazioni a 12 mesi (OR: 0,63, IC 95%: 0,47-0,77).

La somministrazione di metformina è quindi risultata associata a miglioramenti del ciclo mestruale e della maggior parte dei profili ormonali nelle donne sovrappeso e normopeso con PCOS in 24 mesi di trattamento. La maggior parte dei parametri ha raggiunto la massima risposta e lo stato stazionario dopo 6 mesi. Differenze fenotipiche nell’indice di massa corporea di base e nei livelli di testosterone possono essere utilizzate come criteri di selezione della paziente o quale indice prognostico del trattamento.

Bibliografia:

Yang PK, Hsu CY, Chen MJ, et al. The Efficacy of 24-Month Metformin for Improving Menses, Hormones, and Metabolic Profiles in Polycystic Ovary Syndrome. J Clin Endocrinol Metab. 2018;103(3):890-899.

Confronto fra le varie terapie farmacologiche per la perdita di peso

Recentemente è comparsa su JAMA una metanalisi network, un confronto multiplo di 28 studi che includono vari trattamenti farmacologici per la perdita di peso.

In particolare, sono stati confrontati gli effetti sulla perdita di peso e gli eventi avversi del trattamento per un anno con Orlistat, Lorcaserina, Naltrexone-Bupropione, Fentermina-Topiramato e Liraglutide, somministrati a pazienti obesi o in sovrappeso.

Tre gli obiettivi primari dello studio: a) la percentuale di pazienti che perdeva almeno il 5% del peso di partenza e di quelli che ne perdeva almeno il 10%; b) l’entità della perdita di peso; 3) la quantità di pazienti costretti a sospendere la terapia per eventi avversi.

Sono stati valutati circa 30mila pazienti sovrappeso o obesi (età media: 46 anni), di cui il 74% erano donne; all’inizio del trattamento la mediana del peso corporeo era di 100,5 kg e l’indice di massa corporea (BMI) medio era pari a 36,1 kg/m2.

EFFICACIA DELLE DIVERSE TERAPIE FARMACOLOGICHE CONDOTTE PER UN ANNO
FARMACO CALO DI PESO
≥5% rispetto al basale rispetto al placebo
placebo 23%
Orlistat 44% -2,6 kg
Lorcaserina 49% -3,2 kg
Naltrexone-bupropione 55% -5,0 kg
Liraglutide 63% -5,3 kg
Fentermina-topiramato 75% -8,8 kg

Naltrexone-Bupropione e Liraglutide erano associati con le più alte probabilità di sospensione per eventi avversi correlati al trattamento. Tutti i farmaci considerati erano risultati associati a una perdita di peso di almeno il 5% a 52 settimane rispetto al placebo. Fentermina-Topiramato e Liraglutide erano associate con le più alte probabilità di raggiungere una perdita di peso di almeno il 5%. Esistono, in conclusione, farmaci efficaci nella terapia del sovrappeso e dell’obesità, anche se i più efficaci sono gravati da importanti effetti indesiderati che possono compromettere l’aderenza del paziente. Nonostante ciò, ad oggi nessuno di questi farmaci è rimborsato dal nostro SSN.

Bibliografia:
Khera R, Murad MH, Chandar AK, et al. Association of Pharmacological Treatments for Obesity With Weight Loss and Adverse Events: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA. 2016;315(22):2424-34.

 

By-Pass Gastrico

By-pass gastrico, risultati positivi nel tempo sul calo ponderale, diabete mellito di tipo 2, ipertensione e dislipidemia.

Un recente studio osservazionale sugli effetti del by-pass gastrico su peso corporeo, patologie metaboliche (diabete mellito tipo 2 [DMT2] e dislipidemia) e ipertensione, con follow-up sino a 12 anni, includeva 1156 pazienti affetti da obesità severa, di età compresa tra 18 e 72 anni, mai stati sottoposti a chirurgia bariatrica, senza anamnesi di abuso di alcol o narcotici, ulcera gastrica o duodenale, infarto del miocardio nei 6 mesi precedenti l’arruolamento o cancro negli ultimi 5 anni. I partecipanti allo studio sono stati divisi in 3 gruppi: 1) gruppo chirurgico: 418 pazienti sottoposti a by-pass gastrico secondo la tecnica Roux-en-Y; 2) gruppo non chirurgico 1: 417 pazienti non sottoposti a chirurgia, perché le assicurazioni non hanno voluto coprire il costo dell’intervento; 3) gruppo non chirurgico 2: 321 pazienti che non hanno richiesto l’intervento, né al momento dell’arruolamento né nei 12 anni successivi.

Le valutazioni cliniche sono state effettuate al tempo 0, dopo 2, 6 e 12 anni, con la finalità principale di esaminare la presenza di DMT2, ipertensione e dislipidemia. Dopo 12 anni di follow-up è stato esaminato oltre il 90% dei soggetti arruolati.

PERDITA DI PESO: nel gruppo dei pazienti operati il calo ponderale medio aggiustato è stato di 45.0 kg dopo 2 anni, 36.3 kg dopo 6 anni e 35.0 kg dopo 12 anni dall’intervento». Nello stesso gruppo, la perdita di peso percentuale media è rimasta stabile tra i 6 (-28%) e i 12 anni (-26.9%). Dopo 12 anni di follow-up, il 93% dei soggetti (360/387) ha mantenuto almeno il 10% del calo ponderale, il 70% ha mantenuto almeno il 20% del calo ponderale e il 40% ha mantenuto almeno il 30% del calo ponderale. Soltanto 4 dei 387 pazienti (1%) hanno riguadagnato tutto il peso perso. Esaminando il peso corporeo dei soggetti non operati, dopo 12 anni di follow-up, il calo ponderale è stato di 2.9 kg nel gruppo non chirurgico 1 e di 0 kg nel gruppo non chirurgico 2.

DIABETE: prendendo in esame soltanto gli 88 pazienti del gruppo chirurgico affetti da DMT2 al momento dell’arruolamento, la malattia è andata in remissione in 66 individui (75%) a 2 anni, in 54 (62%) a 6 anni e in 43 (51%) a 12 anni. La terapia anti-diabetica in atto al momento dell’intervento aveva una forte capacità predittiva di remissione di DMT2: a 12 anni di follow-up era in remissione il 73% dei soggetti che non ricevevano farmaci all’inizio dello studio, il 56% dei soggetti che ricevevano farmaci per via orale e il 16% dei pazienti che già utilizzavano insulina. Se uno degli obiettivi dell’intervento è la remissione del DMT2, questo ha una bassa possibilità di successo nei pazienti già in trattamento insulinico, mentre è fortemente consigliabile nei pazienti nei quali la malattia è gestita mediante modifiche dello stile di vita.
Esaminando soltanto i pazienti sottoposti all’intervento che hanno presentato il DMT2 sia all’inizio dello studio che al termine, risulta un evidente miglioramento del controllo della malattia, con una riduzione media (± DS) del numero di farmaci anti-diabetici (−0.3 ± 1.4); al contrario, nei soggetti non operati del gruppo 1 si è osservato un aumento del numero medio di farmaci anti-diabetici (0.8 ± 1.4, P = 0.002).
La prevalenza di DMT2 al termine dello studio è stata del 3% nei soggetti operati, del 26% nei soggetti non operati del gruppo 1 e del 26% nei soggetti non operati del gruppo 2.

Ipertensione e dislipidemia: il gruppo chirurgico ha presentato una maggiore percentuale di casi di remissione e una più bassa percentuale di prevalenza rispetto al gruppo non chirurgico 1 (P < 0.05 per tutte le comparazioni statistiche).

Questo studio nei pazienti sottoposti a by-pass gastrico secondo la tecnica Roux-en-Y ha dimostrato un mantenimento a lungo termine di: 1) perdita di peso; 2) remissione e prevenzione di importanti patologie croniche, quali DMT2, ipertensione e dislipidemia».

I risultati di questo studio dimostrano la potenziale utilità di aumentare il numero di interventi chirurgici per i pazienti con obesità morbigena e la necessità di aumentare la conoscenza sull’argomento nella classe medica data la diffusione dell’obesità severa nella popolazione generale.

Bibliografia:Adams TD, Davidson LE, Litwin SE, et al. Weight and Metabolic Outcomes 12 Years after Gastric Bypass. N Engl J Med. 2017;377(12):1143-1155.

L’Obesità “Metabolicamente Sana” non esiste

L’obesità “metabolicamente sana” che, pur non avendo mai ricevuto una definizione standard, corrisponderebbe allo stato di soggetti con BMI elevato che non presentano dislipidemia, insulino-resistenza, sindrome metabolica. Non c’è mai stato un effettivo consenso sul fatto che questi soggetti si potessero considerare scevri da rischio cardiovascolare.

Dai dati dello European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition study (EPIC-CVD), è stato condotto uno studio caso-coorte che ha coinvolto oltre mezzo milione di cittadini europei per un follow-up medio di oltre 12 anni, riportando 7600 eventi cardio-vascolari.

Dividendo la popolazione in base alle soglie di BMI e ai determinanti fisici e biochimici di disfunzione metabolica, sono stati calcolati i rischi di sviluppare problematiche cardiovascolari.

Anche in assenza di alterazione degli indici metabolici, il rischio è aumentato nei soggetti sovrappeso o obesi.

Quindi anche se le alterazioni metaboliche sono certamente le principali imputate per le problematiche cardio-vascolari dei pazienti, in modo indipendente dalla massa corporea, la loro assenza non garantisce al paziente sovrappeso o obeso un futuro libero da malattie cardio-vascolari.  E’ solo questione di tempo.

Pertanto, se da una parte si smantella l’etichetta di “obeso sano”, si rafforza la visione dell’obesità come malattia. Questa impostazione, suffragata da evidenze oggi difficilmente contestabili dovrebbe improntare l’approccio assistenziale al singolo paziente e le scelte di politica sanitaria, a partire da oggi e per il prevedibile futuro.

 

Bibliografia:
Lassale C, Tzoulaki I, Moons KGM et al.  Separate and combined associations of obesity and metabolic health with coronary heart disease: a pan-European case-cohort analysis. Eur Heart J. 2018 Feb 1;39(5):397-406.